di Enzo Coccia
La settimana scorsa durante la manifestazione 50 Top Pizza ho ricevuto il premio alla carriera. Questo riconoscimento mi ha riempito di gioia e di forte commozione: è un premio che mi ha ripagato di anni e anni di sacrifici, di sofferenze, di incomprensioni, e di alcune violenze subite nel corso della mia vita. Nel taxi che mi riportava a casa (cioè in pizzeria) guardavo fuori dal finestrino ma ero così assorto nelle mie riflessioni che non vedevo né la strada, né i passanti, né le auto. La prima domanda che mi sono posto è stata: “quando è cominciato tutto questo, quando la pizza napoletana ha iniziato il suo cambiamento restando sempre la stessa nel solco della tradizione?”.
Credo che dopo due secoli di localizzazione principalmente nella città di Napoli e qualche singolo esperimento agli inizi del 900, possiamo affermare che il punto di svolta è iniziato nel 1995. Il movimento, o fenomeno se così lo vogliamo definire, è stato culturale, scientifico, tecnico, economico e di immagine. Nel 1995 si gettarono le basi durante il primo congresso tenutosi al Castel dell’Ovo in cui i lavori decretarono l’inizio di stesura di un disciplinare storico- scientifico che partisse dalla memoria storica per arrivare al processo produttivo. Come tutti sanno, quel congresso fu svolto dall’Università Federico II di Napoli assieme ai membri (di cui io facevo parte) del Comitato Tecnico dell’Associazione Vera Pizza Napoletana. Credo che in quei giorni fu innestato un fermento, un embrione, sì cito proprio la monocellula lievito SACCAROMICETE che si è sviluppata a effetto valanga in milioni e milioni di volte creando una massa enorme come l’impasto ben lievitato, formato da uomini e donne, giovani, vecchi che rappresentano la pizza napoletana (pizzaioli, fornai, camerieri, lavapiatti, titolari etc.).
Questa massa enorme rappresenta un comparto nel Made in Italy senza chiacchiere di politici, saltimbanco, furbacchioni e faccendieri vari ma con il lavoro quotidiano, onesto e duro di tutti gli addetti ai lavori che ogni mattina, a pranzo o a cena, si recano in pizzeria con passione e dedizione. Un Made in Italy che crea un Pil quantificabile ma crea anche un indotto enorme, spaventoso che è impossibile da quantificare. Dal palco del Castello dell’ovo ho percepito una sala variegata di identità diverse (aziende, produttori, stampa, addetti ai lavori, familiari etc.) con valori quali quelli dell’amicizia, la stima, lo stare insieme con gioia ed orgoglio. Allora ti accorgi e tocchi con mano che la realtà vera è molto diversa e distante anni luce da quella virtuale o social fatta di polemiche sterili ed insulti gratuiti. Il merito di questa manifestazione è di Luciano, Albert e Barbara che voglio ringraziare ancora una volta, non per la classifica italiana, ma per aver saputo valorizzare un comparto che lavora bene in Italia ed è consapevole della sua forza nei vari solchi delle diversità regionali. In questi 22 anni la pizza è lievitata bene e il mondo intero ci aspetta per assaggiarla.