di Lina Malafronte
Enzo Coccia, Attilio Bachetti e Gino Sorbillo. Cosa ci fanno tre uomini, tre dei migliori pizzaioli di Napoli per essere precisi, nel carcere femminile di Pozzuoli? Portano il “sole” tra le sbarre grigie del Penitenziario e mettono al servizio di dieci donne i segreti e le tecniche di una delle attività più antiche della città partenopea.
La pizza come opportunità di riscatto sociale e di inserimento professionale al centro del progetto promosso dalla direttrice, Stella Scialpi, e coordinato dall’Area Educativa dell’Istituto. Dopo il caffè e la cucina, dallo scorso 7 maggio è toccato al disco di pasta, icona nel mondo dell’Italia da mangiare, offrire una seconda chance a chi ha sbagliato, sta pagando per gli errori commessi e vuole dare una nuova impronta alla propria vita. Monica, Loredana, Angela, Vania, Maria, Rosa, Doris, Antonietta, Flora e Rosa E. sono i nomi delle dieci apprendiste che, per un totale di 64 ore suddivise tra teoria e pratica, hanno indossato cappello, grembiule e casacca da pizzaiolo e hanno impegnato tutte le loro energie per imparare a fare la pizza classica napoletana. Guidate dai loro maestri, protagonisti del documentario Il sole nel piatto, prodotto da Roberto Gambacorta e realizzato da Alfonso Postiglione, hanno affondato le loro mani in acqua, farina, sale e lievito e se le sono imbrattate per acquisire le competenze di una professione che possa loro servire quando un domani saranno fuori. In un luogo che ostacola il contatto con molti aspetti, anche quelli più banali, della vita quotidiana, che costringe le sue ospiti a privarsi di molte cose, questo “sole” tutto napoletano infonde nei loro occhi una nuova luce unita al calore della speranza di una svolta nel loro avvenire. “Noi non ci rendiamo conto che essere detenuti significa anche doversi privare della possibilità stessa di mangiare una pizza” dichiara Enzo Coccia, che tra l’altro si occupa da diversi anni di formazione, mentre racconta di essere stato abbracciato e ringraziato, all’inizio del corso, da una detenuta che non vedeva né mangiava una pizza da ben cinque anni.
E se c’è ancora chi pensa che quello del pizzaiolo sia un mestiere troppo faticoso e poco adatto al gentil sesso si sbaglia parecchio. Queste signore hanno dimostrato, con il loro entusiasmo e il forte desiderio di voltare pagina per scrivere una nuova storia della loro vita, di saper lavorare come chi le pizze le prepara, giorno dopo giorno, per professione. Piuttosto, una marcia in più, quella determinazione dettata dal non voler essere più prigioniere del passato e degli sbagli compiuti, le ha spinte a faticare duramente, senza mai avvilirsi, nonostante i rimproveri dei tre esigenti maestri. Ogni nuovo tassello aggiunto nel loro percorso di ri-formazione è stato percepito dalle allieve come una conquista, un gradino in più nella scala della libertà: dalla preparazione dell’impasto alla formazione delle soffici pagnotte, dalla stesura del disco di pizza alla sua farcitura fino alla cottura, potendo vantare del forno professionale realizzato, grazie al contributo della dottoressa Adriana Tocco, Garante dei detenuti presso il Consiglio regionale della Campania, dal noto artigiano Stefano Ferrara. Coperto da un mosaico di tessere dalle varie gradazioni del cielo, quel cielo che le galeotte sognano di ammirare al più presto, il forno a legna si è illuminato, in occasione della conferenza stampa organizzata lo scorso 15 giugno a conclusione del corso, proprio come i volti delle neo pizzaiole che, dando prova di quanto appreso, hanno superato l’esame finale a pieni voti. Chissà che non possa brillare ancora.