di Enzo Coccia
Eravamo mangiafoglie e siamo diventati mangiamaccheroni. Poi, la modernità e il boom economico ci hanno resi mangiacarne.
Andiamo a caccia di pancetta, bresaola, culatello, mortadella, specialità che amiamo e che finiscono nei nostri piatti o mangiamo al volo – a tutti capita di assaggiare una fetta di salame prima di acquistarlo – facendoci percorrere tutta la Penisola, da Nord a Sud, perché noi italiani la tradizione della macellazione delle carni e della loro trasformazione ce l’abbiamo nel sangue, sebbene il consumo su più ampia scala si sia registrato solo con la forte crescita degli anni Sessanta.
Non c’è regione dello stivale, infatti, che non abbia il suo salume tipico, ottenuto seguendo una pratica che, tutt’altro che cosa moderna, ha origini antichissime.
Un’usanza salda e plurisecolare ha, perciò, reso la salumeria del Bel Paese conosciuta e quotata – anche a Piazza Affari – praticamente ovunque nel mondo, dove si è visto essere in crescita la domanda di affettati che sventolano il tricolore. E come per le altre eccellenze del made in Italy alimentare, la norcineria nostrana vanta una bella lista di marchi Dop, Igp e Stg, sigle che marcano una netta differenza, pure oltreoceano.
Da fuori confine, però, precisamente da Lione, sono arrivati i risultati di un nuovo studio condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), da cui è emerso che le carni processate, che siano manzo o maiale non importa, causano il cancro.
Questo è quanto hanno dichiarato, qualche settimana fa, i 22 studiosi di 10 diverse nazionalità dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), un’importantissima divisione di ricerca dell’OMS, secondo cui la carne sottoposta a tutti quei procedimenti, quali la salatura, l’essicazione, l’affumicatura o la frollatura, che ne aiutano la conservazione o ne migliorano il gusto, e, per certi versi, anche quella rossa potrebbero aumentare il rischio di sviluppare un tumore.
Di che meravigliarsi? Il legame tra consumo di carne rossa e possibilità di ammalarsi di cancro, a dir la verità, è da tempo al centro del dibattito scientifico. Sono anni ormai che, più volte, abbiamo sentito discutere in tv o letto su qualche giornale le raccomandazioni dell’oncologo Umberto Veronesi di optare per un’alimentazione non carnea, bensì ricca di frutta e verdura.
Quello che allora c’è di diverso nei risultati comunicati di recente dall’équipe cosmopolita di ricercatori è l’aver incluso i salumi e gli insaccati, accanto a fumo, amianto e altri cento e passa elementi, nel gruppo delle sostanze cancerogene a pericolosità più alta. Subito dopo, in un gradino più in basso, figurano le carni rosse come probabili oncogene, per via, soprattutto, delle modalità e delle tecniche con cui sono cotte.
Alle costolette abbrustolite non è facile resistere, inutile negarlo. Eppure, proprio la cottura alla brace produce i famosi idrocarburi policiclici aromatici (IPA) di cui si è tanto discusso a proposito della pizza napoletana, su cui vediamo impiegare i più vari salumi per la farcitura.
Come il prosciutto affettato a cui de Bourcard faceva riferimento, già nel 1847, nel descrivere la preparazione del calzone, salame o cicoli imbottiscono il più classico dei ripieni. La salsiccia, in un tradizionale abbinamento, guarnisce la pizza con i friarielli. E ancora speck, ventresca, lardo di Colonnata e mortadella completano pizze, bruschette e murzilli dei giorni nostri.
E’ bene precisare che questo studio, chiaramente, non vuole affermare che chi sceglie di mangiare filetti, spiedini, pancetta e compagnia cantante, fonte, peraltro, di nutrienti fondamentali per l’uomo, sicuramente sarà colpito dal male del secolo. Le carni che circolano su tutto il territorio nazionale, d’altronde, non contengono quei componenti, oggetto dell’esame, utilizzati per prolungare la shelf life dei prodotti, sono più sane perché soggette alle regole ferree dei Disciplinari di produzione, quella differenza accennata poco più su, e il loro consumo da parte nostra è di gran lunga inferiore rispetto ai quantitativi indicati dagli scienziati dell’OMS.
Come sempre in tutte le cose che facciamo occorre evitare gli eccessi ed essere moderati, condurre uno stile di vita attivo e alternare la carne con verdure e ortaggi, scegliendo costantemente la qualità che senza dubbio è la chiave di volta di tutta la questione.