di Enzo Coccia
Come tutte le mattine, anche oggi scendendo molto presto da casa ho incontrato Nunziatina, la mia portiera, che mi ha salutato e mi ha trattenuto con la solita chiacchierata sul freddo di questi ultimi giorni. “Che freddo Signor Enzo” – mi ha detto Nunziatina – “ sono veramente giorni terribili. Poiché fa freddo, stasera per mio marito ho preparato polenta con le salsicce”.
Dopo questo breve scambio di battute, ho salutato Nunziatina e sono andato verso la pizzeria. Mentre ero in macchina nel traffico, le parole della mia portiera continuavano a ronzarmi nella testa; continuavo a pensare che Nunziatina aveva proprio ragione e che mangiare la polenta con queste giornate fredde era davvero l’ideale.
Nell’immaginario comune tutti pensano che la polenta sia un piatto tradizionale del Nord Italia. In realtà non è proprio così.
Si tratta sicuramente di un cibo povero tipico dell’alimentazione dei contadini, arrivato in Italia solo dopo la scoperta delle Americhe quando si cominciò ad importare in Europa la farina di mais. Il suo utilizzo si attestò in tutta la penisola con varianti differenti regionali: al nord si consumava prevalentemente con la carne mentre al sud si amava accompagnarla con il sugo. E poi c’è lei, la polenta fritta meglio conosciuta come gli scagliuozzi. A Napoli siamo veri esperti nel cucinare gli scagliuozzi, ossia pezzi di polenta tagliati spessi e solitamente a forma di piccoli triangoli, o anche trapezi, che vengono poi fritti in abbondante olio bollente e salati. Un vero e proprio cibo di strada che ritroviamo anche in Puglia e in Sicilia, con l’unica variazione nei nomi che assumono carattere prettamente dialettale.
Nel testo del 1875 “Galleria di costumi napoletani” di Domenico Jaccarico, poeta, scrittore e traduttore partenopeo, ho letto dei mestieri e dei venditori della mia città. Il friggitore di strada era una figura molto importante, presente ad ogni angolo delle strade e che nelle sue “tielle” (grandi pentoloni circolari) friggeva gli scagliuozzi e la “robba ammiscata”, tutto rigorosamente nello strutto bollente. Non ditemi che non avete mai provato questa bontà. Si tratta del classico “cuoppo” con fiori di zucchine, melanzane fritte, gli scagliuozzi, le palle di riso e le paste cresciute da mangiare ancora caldi tra i vicoli di Napoli. Oggi lo chiamano street food ma lo scagliuozzo, o più in generale “il cuoppo fritto” è da sempre presente nella nostra tradizione culinaria.
Ecco allora l’idea: una pizza cicoli e scagliuozzi. Ho pensato di utilizzare i ciccioli, la pancia del maiale bollita e poi compressa, tagliati a cubetti, gli scagliuozzi, anch’essi tagliati a dadini e poi fritti. Il tutto distribuito sul disco di pasta con una spolverata di pecorino e pepe. All’uscita dal forno, questa pizza risulta molto ben equilibrata e saporita: è la pizza ideale per riscaldarci.
Devo dirlo assolutamente a Nunziatina per farla assaggiare anche a lei. Domani, però. Ora è già tardi, io la incontro solo di buon mattino sotto casa.