di Enzo Coccia
Le Associazioni Vera Pizza Napoletana e l’Associazione Pizzaiuoli Napoletani hanno proclamato il 17 gennaio la “Giornata del pizzaiuolo napoletano”. La scelta della data non è casuale perché in questo giorno si festeggia Sant’Antuono Abate considerato il protettore dei fornai e dei pizzaioli che cuocevano le loro pizze, dall’antica Grecia, nel forno a cupola.
Se torniamo un attimo indietro, troveremo una fantastica ed incredibile storia di tradizione che lega il sacro ed il profano, la città di Napoli, il mestiere del pizzaiuolo ed il suo fascino.
L’uomo si evolve con la scoperta del fuoco: la possibilità di cuocere il cibo identifica l’Homo Erectus e lo differenzia dagli animali; egli vive in comunità creando villaggi con sistemi sociali e regole interne.
Il fuoco va considerato sotto diversi aspetti sia religiosi che pagani e popolari. Sant’Antuono è il santo delle tentazioni demoniache: infatti molte raffigurazioni ritraggono il santo con presenze demoniache che congiurano contro di lui, mentre sullo sfondo ardono misteriosi incendi. Nella città di Napoli esiste la Chiesa di Sant’Antuono Abate nell’omonimo borgo nei pressi di Corso Garibaldi. Qui, e nelle altre parti della città, si accendeva “O cippo ‘e Sant’Antuono”: durante questa festa, i vicoli e le strade venivano illuminati con grandi e piccoli falò che, secondo la credenza, ha il potere di purificare e scacciare ogni male.
Attenzione, non confondete Sant’Antuono con Sant’Antonio che invece si festeggia il 13 Giugno. Lo spiega chiaramente Salvatore Di Giacomo nel libro “Taverne famose napoletane”. Nel capitolo “La trattoria di Monzù Testa. La taverna delle bizzoche al Purgatorio” si racconta di un pizzaiuolo, tale Don Domenico Testa e di suo padre, Antuono appunto descritto così: “era un bell’uomo grasso e grosso. Aveva una pizzaria alla salita Santa Teresa, a sinistra di chi va a Capodimonte. La pizzaria era a un tempo anche bottega da maccaronaro: il nonno stava lì dietro il banco ogni sera, con un grande grembiule sulla pancia, e scodellava i due e i tre fino alla mezzanotte. Lui a Santa Teresa e sua moglie al Cavone di S.Gennaro dei Poveri, ov’era un’altra pizzaria con un gran forno”.
Esiste in dialetto napoletano un famoso detto “levaci o’ viecch e puortc o’ nnuov”. Mi sembra che questo modo di dire calzi perfettamente con la speranza di una nuova vita per la pizza napoletana e per il mestiere del pizzaiuolo napoletano che è stato riconosciuto patrimonio dell’Unesco.