Sono ormai passati alcuni giorni dall’evento 50 Top Pizza 2018 e dopo una prima euforia iniziale sento il bisogno di fare un’analisi personale.
Innanzitutto ritengo che ci sia la necessità di leggere i dati con senso critico: nei primi 50 posti della classifica solamente 11 di questi sono occupati da pizzerie presenti nella città di Napoli; addirittura, se si presta maggiore attenzione, si vede che nelle prime 10 posizioni, solamente 4 di esse sono attribuite a pizzerie che si trovano nel capoluogo campano. Non solo. Se confrontiamo i dati 2018 con quelli dello scorso anno scopriamo che di queste 11 pizzerie ben 5 hanno perso posizioni (me compreso).
Fortunatamente, la classifica di 50 Top Pizza non corrisponde ad un calo di clientela per le attività di somministrazione. Anzi, direi che il fenomeno è in controtendenza. Senza dubbio qualcuno potrebbe dirmi “e allora, di cosa vi lamentate?”. Il punto in realtà non è questo. Secondo il mio personale pensiero, nei locali pizzeria a Napoli non vi è una spinta assoluta nella ricerca, né segnali di incisiva innovazione. L’utilizzo di prodotti di qualità e le lunghe lievitazioni sono scontati e non basta più tutto questo. Servono progetti concreti: ritengo che la pizza napoletana stia vivendo una fase di stallo, ovvero statica.
Oggi, nel panorama mondiale della pizza, Franco Pepe rappresenta il modello da seguire e da inseguire. Il suo è senz’altro un progetto concreto che poggia su solide basi: la valorizzazione del territorio attraverso l’utilizzo di prodotti da utilizzare, non solo come farcitura ai suoi impasti, ma come grimaldello per un turismo gastronomico. La su offerta è intercettata da una platea cosmopolita e internazionale che ben percepisce il messaggio di qualità. Chi si reca da Franco Pepe affronta un viaggio emozionale, un’esperienza personale interagendo con i luoghi che circondano la sua dimora storica, cioè la sua pizzeria. Questo è un concetto totalmente differente rispetto al servizio offerto ad un cliente di una buona pizzeria seduto al tavolino nel gran caos napoletano. L’assioma “assaggiamo una pietanza/conosciamo un territorio” trova, nel progetto di Franco, una verità.
Altro aspetto, anche questo fondamentale e di grande importanza, è che Franco è riuscito a creare un team di collaboratori unito e saldo. Un gruppo di giovani provenienti dagli istituti alberghieri che come prospettiva aveva solamente quella di lavorare per società di catering o strutture che organizzano ricevimenti come matrimoni e battesimi.
Franco, esattamente come i contadini di Caiazzo, scruta l’orizzonte per comprendere le previsioni del tempo ed essere preparato a tutte le sue variabili così da assicurarsi il raccolto.