di Enzo Coccia
Chi può dire oggi se in un ristorante o un in una pizzeria si mangia bene oppure no? Tripadvisor, le guide specializzate o il vostro amico su Facebook che posta la foto della Margherita che ha appena mangiato con tanto di voto e giudizio finale? Oggi, al tempo dei social 3.0, tutti si sentono autorizzati a criticare o esaltare uno chef, un piatto, un locale… ma sono davvero capaci di farlo? Lo so che l’argomento è scivoloso, ma voglio condividere con voi alcuni riflessioni sui critici gastronomici che – prendendo a prestito il titolo del celebre romanzo di Pirandello – sono “uno, nessuno e centomila…”.
Esiste la critica amatoriale, quella di Tripadvisor per intenderci, che racconta il mondo del cibo influenzando e orientando il pubblico verso alcuni locali piuttosto che altri; poi ci sono le guide specializzate, come la famosa Zagat, nata nel 1979 per volontà di Tim e Nina Zagat, lanciata come uno “schedario sui ristoranti” insieme a un gruppo di 200 amici avvocati, oggi diventata un’impresa che coinvolge oltre 250mila persone e vende, solo su New York, 650mila copie: i giudizi vengono dati dai clienti in base alla bontà del cibo, al servizio, al decoro del locale e al prezzo.
E poi c’è il Critico di professione, quello che con la C maiuscola, con anni di storia alle spalle che decreta l’inferno o il paradiso di un ristorante. In quest’ultima categoria sicuramente rientra Adam Platt, critico temutissimo del New Yorker Magazine, oggi firma di punta di Bloomberg Pursuits, che mi scrive una mail in cui mi avvisa che verrà a Napoli per intervistarmi.
Me lo ritrovo come allievo nei corsi per pizzaioli della mia società Pizza Consulting a settembre 2015. Segue il corso come tutti gli altri allievi, lavora l’impasto, prepara il condimento, inforna le pizze, suda vicino al forno e, naturalmente, sostiene l’esame finale.
Gli spiego che cento ore sono un tempo troppo breve per trasmettere i 300 anni di tecnica della pizza a degli studenti. Di lui mi stupisce la voglia di entrare “dentro la notizia”, vuole sapere tutto, vuole conoscere l’intero processo di produzione della pizza, partendo dai fornitori. Quando non è impegnato con le lezioni mi chiede di essere accompagnato nei caseifici in cui compro la mozzarella, nelle aziende agricole che mi passano i pomodorini, nel mulino da cui proviene la mia farina.
Capisco che ha una grossa testata alle spalle che sostiene i costi delle sue trasferte ma la sua inguaribile curiosità è la cifra stessa della sua altissima professionalità. Preso da mille impegni, come al solito, penso che non avrei tutto questo tempo da dedicargli, ma per Adam si può fare, si deve fare.
Passano i mesi e io quasi mi dimentico di quella settimana trascorsa insieme fino a quando, lo scorso 22 giugno, esce su Bloomberg un pezzo a sua firma Learning to Make the Best Pizza in the World, (ovvero Imparare a fare la migliore pizza nel mondo) in cui racconta la sua esperienza di “allievo” presso Pizza Consulting, in cui ha provato a imparare a fare la pizza in una sola settimana! Leggere Enzo is the best of the very best (Enzo è il migliore dei migliori) mi rende davvero orgoglioso.
Una breve parentesi sugli ispettori in incognito della grande rossa (GUIDA MICHELIN) che, mimetizzandosi con i clienti, sentenziano l’alta ristorazione nel mondo. E così ripenso al titolo del famoso romanzo di Pirandello Uno, nessuno, centomila…validissimo anche per la critica gastronomica!