di Enzo Coccia
Dopo i festeggiamenti da parte di tutti noi pizzaioli per il riconoscimento dell’arte del pizzaiuolo napoletano come patrimonio immateriale dell’umanità sancito dall’Unesco, in questi giorni mi sono posto una infinità di domande: come può questa importante dichiarazione affermarsi nel tempo? Come salvaguardare questo riconoscimento? Quali sono le strategie per comunicare ai non addetti ai lavori questo bene immateriale?
Credo che via sia una enorme confusione, addirittura ho visto una trasmissione televisiva su Rai Uno che nei sottotitoli, a carattere cubitali, scriveva “la pizza napoletana è patrimonio dell’Unesco”. A dire la verità mi sono cadute le braccia. Certamente molte risposte a queste domande spettano alle Associazioni di categorie promotori dell’iniziativa ma anche a tutti i pizzaioli, me compreso. Concordo con il vice presidente dell’Associazione Vera Pizza Napoletana, dott. Massimo Di Porzio, che insieme si possono e si devono raggiungere obiettivi che rappresentano il bene comune di tutto il comparto ma anche di tutta la regione Campania. Un indotto che definirei indiretto con un possibile sviluppo di un turismo enogastronomico che collega diverse sinergie ad una vera e propria rete di offerta turistica. Infondo l’arte del mestiere del pizzaiolo è solo una delle tante arti della città di Napoli.
Napoletano non è semplice aggettivo o sostantivo maschile che sta ad indicare l’abitante nativo di Napoli. Esso è qualcosa che è traducibile in un vero concetto di arte stessa. Vi chiederete il perché. Pensate alla canzone napoletana, alla musica napoletana, alla commedia napoletana, alla scuola di pittura napoletana dell’800, al presepe napoletano, alla sartoria napoletana e potrei continuare anche con altre specificità della città di Napoli come ad esempio la ceramica di Capodimonte o il Conservatorio di San Pietro a Majella, o ancora la biblioteca dei Gerolamini. L’Unesco ha riconosciuto una sola di queste arti ma è come se avesse sancito Napoli capitale immateriale della cultura, culla di civiltà e di tradizioni che si propongono e si rinnovano. Abbiamo l’obbligo di salvaguardare e raccontare al mondo intero tutto questo. In fondo la Campania era ed è la Magna Grecia.