Di Enzo Coccia
Avete mai pensato all’importanza del cibo come sinonimo di vita? Sicuramente si. Ma avete mai pensato all’importanza di ciò che mangiamo come fonte di ispirazione per artisti, letterati, sceneggiatori, registi, stilisti, musicisti? La relazione tra cibo e arte?
Il cibo è stato rappresentato dall’uomo sin dagli inizi della sua storia, da quando cominciò a utilizzare il fuoco e da nomade divenne stanziale creando i primi villaggi e le prime comunità.
Nell’antichità il cibo era connesso alle celebrazioni e ai riti sacri. Per gli antichi egiziani, sicuri di continuare a vivere dopo la morte, era consuetudine raffigurare, sulle pareti delle tombe, gli alimenti e le bevande di cui si sarebbe servito il defunto nell’aldilà.
Legati al passaggio ad altra vita erano pure i banchetti organizzati sui sepolcri nel mondo romano. A quell’epoca risalgono gli affreschi delle tabernae, luoghi di ristoro con annesse camere per intrattenersi con le meretrici, e i dipinti che, figurando direttamente sulle pareti delle case, ritraevano le prime nature morte. Particolarità dell’età imperiale erano i pavimenti a mosaico che illustravano gli avanzi delle tavole dei Romani. Tali resti, finiti a terra, non dovevano essere assolutamente toccati perché riservati ai parenti scomparsi, le cui spoglie erano conservate nella stanza sottostante a quella dove si pasteggiava.
Se in un primo tempo il cibo era legato alle cerimonie, nel Medioevo antico era al centro dello scontro tra la cultura romana e quella barbarica. Al pane, all’olio e al vino le popolazioni di origine nordica rispondevano con la carne e la selvaggina: da questo contrasto ne venne fuori un nuovo modello alimentare che non contrapponeva, bensì integrava i due di partenza.
E con l’inizio della modernità entravano in scena i prodotti che arrivavano dal Nuovo Mondo. Il Mediterraneo nel ʼ500 era crocevia di nuovi alimenti: mais, patate, pomodoro, peperoni, peperoncino, ma anche spezie, caffè e thè provenienti dall’Oriente a man mano cominciarono a trovare impiego in cucina, in particolare gli ortaggi in quella contadina. Forte era la distinzione tra le classi sociali e, ovviamente, le arti figurative non potevano restare insensibili alle differenze tra il modo di alimentarsi dei poveri e quello abbondante e sontuoso dei ricchi. Eppure, alcune delle piante arrivate dalle Americhe dovettero attendere a lungo prima di finire nei piatti e nelle pennellate dei secoli successivi.
Mentre nell’Ottocento il cibo continuava a essere presente sulle tele e a trovare spazio nei mercati popolari dell’arte fiamminga nella scuola di Posillipo, tra le due guerre poco o nulla gli è dedicato.
Conclusosi il secondo conflitto mondiale, il cibo debutta sul piccolo schermo. Il primo programma dedicato alla cucina è realizzato negli Stati Uniti. È il famoso The French Chef di Julia Child. L’Italia, invece, incontra e conosce la cultura del cibo con Mario Soldati e il suo Viaggio nella valle del Po, una trasmissione intelligente, più precisamente un reportage enogastronomico, andato in onda poco dopo la nascita della TV, che apre la strada al concetto di genuinità. A quel periodo risale la pop art di Andy Warhol che, con le lattine di Campbell’s soup, formula il concetto di cibo industriale e la massificazione dei consumi. Uno stesso discorso si impone con la nascita della televisione commerciale e delle reclame che bombardano la mente dei consumatori, spingendoli ad acquistare le pietanze pubblicizzate. Arriva, poi, il momento dei canali tematici come Gambero Rosso, Alice tv e le loro scuole di cucina.
Oggi il cibo passa attraverso il web e i social, viaggia tra clic, “mi piace”, tweet, condivisioni, selfie, immagini su smartphone e tanto altro. Ogni sua rappresentazione rispecchia con assoluta precisione il momento storico in cui è presente.
Chissà cosa ci riserverà il futuro, speriamo che le pietanze a noi gradite e che il piacere della buona tavola non scompaiano per essere rimpiazzati da semplici ologrammi.