di Enzo Coccia
Molte volte il mio lavoro mi porta in giro per l’Italia e per il mondo, non solo per consulenze, ma per eventi, manifestazioni, convegni. Diverse settimane fa sono stato a Roma per far parte di una giuria chiamata a scegliere il miglior pizzaiolo emergente d’Italia, concorso organizzato da Luigi Cremona WItaly e in una scuola di cucina in Campania per svolgere alcune ore di docenza sulla pizza tradizionale napoletana. Due diversi incontri che mi hanno permesso di osservare alcuni ragazzi di tutta Italia intenzionati a diventare pizzaioli.
Purtroppo il quadro che mi si è posto davanti mi è apparso molto desolante e, di conseguenza, il mio giudizio sul futuro della pizza in Italia è incerto. Sono ben consapevole di scatenare un dibattito acceso con questo mio post ma – come è sempre stato nel mio stile – preferisco essere sincero. In questi ragazzi non ho visto la voglia di conoscere la tradizione, la storia di questo fantastico prodotto, ma prevaleva in loro solo un approccio superficiale ed asettico: la voglia di apparire al posto dell’essere, l’immagine rappresenta tutto.
Il fare quotidiano, il sacrificio nel lavoro, la costanza, le scoperte di prodotti e produttori eccellenti sono, per loro, fattori marginali, rappresentano solo il mezzo per esprimere e costruire il proprio “personaggio”, non sono sospinti dalla curiosità, né dalla voglia di affondare le proprie radici in quest’antica tradizione culinaria, non credono nel lavoro come identità di sé stessi, ma come un mezzo per raggiungere il successo, attraverso il consenso dei social media.
Lo so che sembrerò catastrofico – e, ad alcuni forse anche antipatico – ma nel panorama italiano della pizza, oltre a quello napoletano non vedo una luce, una terza via, un’altra strada come accadeva anni addietro con il romano Gabriele Bonci e il veneto Simone Padoan. I ragazzi che ho incontrato di recente leggono frammenti di scienza e tecnologia sul web, inventano nuovi impasti, senza saperi e competenze, credendo che questa sia la tangente per arrivare al successo, una falsa scorciatoia per diventare famosi: tutti vogliono diventare il Carlo Cracco della pizza o l’Antonino Cannavacciuolo dell’impasto, nessuno vuol essere semplicemente un bravo e buon pizzaiolo che ha come unico obiettivo quello di soddisfare semplicemente il cliente, senza alimentare il proprio ego smisurato.
Vi faccio un esempio da cui è scaturito il mio disincanto, la mia delusione: alla scuola di cucina ho chiesto ad alcuni ragazzi di tagliare del salame alla julienne. Mi hanno guardato come se parlassi arabo. Gli ho dovuto spiegare che tagliando il salame in questo modo, a listarelle, lo si protegge nella cottura (propagazione calore per irraggiamento) e si evita che, all’uscita dal forno, lo stesso diventi duro e secco. Ah – dimenticavo – sempre che sia in partenza un salame di qualità! E, invece, basterebbe incuriosirsi e guardare il mondo con gli occhi di un bambino per migliorarsi sempre di più anche sul lavoro.
Perciò ai ragazzi, aspiranti pizzaioli di tutta Italia, voglio dare un consiglio rubando le parole al grande Eduardo De Filippo: “Senza la vera conoscenza della tradizione non vi sarà mai una vera innovazione”. Per questo motivo, studiate e soprattutto appassionatevi a quello che sarà il vostro lavoro nel futuro, certamente acquisirete molti meno “like”.