di Enzo Coccia
I dati della Camera di Commercio di Milano diffusi a ridosso di Ferragosto sulla crescente presenza di pizzaioli di origine straniera soprattutto nelle grandi città del Centro e del Nord Italia, impone una riflessione lontano dalla calura estiva.
A Milano e Bologna un pizzaiolo su due è immigrato, a Torino uno su tre, a Roma una su cinque. Napoli, patria mondiale della pizza, è assolutamente in controtendenza: è straniero meno di un pizzaiolo su cento.
Niente contro i nostri fratelli di origine straniera! Ci mancherebbe! Ne ho visti passare tanti nei miei corsi di formazione di Pizza Consulting, molti bravi, alcuni davvero talentuosi sono diventati ottimi pizzaioli. Ma sono contento che a Napoli e in giro per il mondo il pizzaiolo sia un lavoro secolare svolto dai napoletani e non è solo una questione di campanilismo.
Se la pizza è una tradizione inossidabile nella nostra città, che ne caratterizza perfino il Dna, che porta l’aggettivo “Napoletana” nel mondo definendo un certo modo di fare “pizza”, un motivo ci sarà! Non si tratta solo di impastare acqua e farina! La grande tecnica tramandata da metà Settecento ha bisogno di spiegazioni scientifiche per affrontare le sfide del mercato globale che ci chiede sempre più pizze e pizzerie.
Allora qual è il profilo del pizzaiolo moderno? A mio parere non deve essere né uno “schiacciapizza”, né uno scienziato che manipola dischi di pasta, ma un “artigiano” nel senso pieno del termine, ossia “un lavoratore esperto che trasforma o produce determinati alimenti”, secondo la definizione che ne dà Wikipedia.
Il pizzaiolo di oggi, insomma, è un artigiano moderno… che sa quello che fa!