di Enzo Coccia
Abbiamo da poco salutato il 2015 e i primi dati sui dodici mesi passati e le prime previsioni su quelli che verranno non hanno tardato a farsi vedere. L’anno appena conclusosi è trascorso per la Campania nel migliore dei modi. Turismo, export e agroalimentare, stando a quanto emerso dal Rapporto di Unioncamere hanno riempito le casse regionali.
Che a riempirle fosse, in particolare, il settore enogastronomico l’ha appuntato pure il giornalista de Il Mattino Luciano Pignataro nel tirare le somme del 2014. Nonostante gli scandali e le trasmissioni volte a denigrare l’uno o l’altro prodotto, per le eccellenze campane è andata decisamente bene. Tra esse, una specialmente ha chiuso i 365 giorni in bellezza.
Protagonista, insieme alla pizza napoletana, di una sfilza di eventi qua e là per il mondo, la mozzarella di bufala campana si è aggiudicata un bel posto nella top ten stilata da Qualivita Ismea sulle produzioni italiane a marchio Dop, Igp e Stg.
Finisce sulle pizze che si sfornano un pò ovunque nei cinque continenti. Ma, attenzione a non confonderla. C’è la mozzarella a denominazione di origine protetta e c’è la sua brutta copia, la mozzarella cheese, un formaggio, come si capisce dal nome, che dell’originale non ha proprio nulla.
Interessanti, poi, le differenze tra l’oro bianco della provincia di Caserta e quello che si produce sul versante di Salerno: l’alimentazione delle bufale e la composizione del terreno comportano quel complesso di diversità che non hanno il compito di decretare quale dei due sia più buono, piuttosto diversificano il panorama lattiero-caseario, rendendo più vivace la scelta degli acquirenti. E se al nostro palato il latticino casertano risulta più sapido e compatto, mentre l’altro più dolce e polposo, dipende dalla pratica in uso nei caseifici di Caserta e provincia di immergerlo, a fine mozzatura, nel salsettone, un composto di acqua, sale ed acido citrico quattro volte più salato della salamoia impiegata a Salerno e dintorni. Questo significa che mentre nel primo caso si utilizzano 10 grammi di sale per litro di acqua, nel secondo quel quantitativo si riduce a 2,5. E il tempo di permanenza varia in base alla pezzatura da soli 20 minuti a 3 ore.
Oltre alla mozzarella di bufala, anche il fior di latte farcisce la pizza napoletana. Che sul disco di pasta ci vada Mozzarella o fior di latte è una questione assai dibattuta per via del loro contenuto di latte, leggermente inferiore nel famoso latticino di Agerola. Per evitare che la pizza si allaghi durante la cottura, con il risultato di un prodotto gommoso e semicrudo, è necessario tenere sotto controllo la quantità di siero che entrambi, inevitabilmente, rilasciano. Ciò può essere fatto tagliando, a fettine la mozzarella di bufala e a listelli il fior di latte, come il decalogo della vera pizza napoletana detta, prima dell’uso.
Una caratteristica importante per la mozzarella che finisce sulla pizza è la filabilità. La capacità di filare dei formaggi dipende dalla temperatura e dal pH. Affinché filino al meglio, la temperatura deve essere intorno ai 65°C e pH prossimo al punto isoelettrico delle proteine del latte usato per la sua produzione. Nel caso della margherita, ad esempio, dato che il pomodoro ha pH compreso tra 4,2 e 4,5, quello delle caseine del latte di bufala è 5,4, mentre quello del latte vaccino è pari a 4,6-4,8, si capisce che per contenuto d’acqua e per filabilità, il fior di latte sarebbe il topping più adatto per la pizza.
Ciononostante, con alcuni accorgimenti anche la mozzarella può condire le più svariate creazioni. E allora via libera ai gusti e alle preferenze di ognuno di noi su cui di certo non si discute!