di Enzo Coccia
Verso la fine del 1994 l’allora Sindaco della città di Napoli Antonio Bassolino ebbe l’intuizione di voler certificare un prodotto come la pizza che rappresentasse Napoli. Ne discusse con il Sig. Antonio Pace, Presidente dell’Associazione Vera Pizza Napoletana, e si decise di preparare un disciplinare che salvaguardasse questo prodotto. All’epoca io ero il Segretario dell’Associazione e ricordo che iniziammo i lavori con entusiasmo e passione. In questo percorso una delle poche persone esperte in materia era il Dottor Raffaele Beato, all’epoca direttore dell’istituto E.R.S.A.C. (Ente Regionale di Sviluppo Agricolo in Campania), ed insieme all’Istituto di Ricerca della Camera di Commercio e la Seconda Università degli Studi di Napoli, avviammo la stesura del primo disciplinare della pizza napoletana. La strada intrapresa fu quella di ottenere una normativa UNI per la certificazione di un prodotto di qualità. Quando vi è la stesura di un disciplinare, oltre la memoria storica, la localizzazione geografica del prodotto, il processo produttivo, occorre identificare una serie di ingredienti che compongono il prodotto finale. Nel corso delle riunioni scaturì un forte dibattito durante il quale emerse che la realizzazione della pizza napoletana aveva bisogno di prodotti certificati (l’olio, pomodoro e mozzarella).
In quel momento che definirei storico bisognava scegliere tra la mozzarella di bufala e il fior di latte, entrambi con un riscontro storico-culturale come componente della pizza napoletana. La scelta cadde sulla mozzarella di bufala in quanto era un formaggio a pasta filata stabilito con un D.P.R. del 10/5/1993. Ricordo con esattezza l’incontro con Antonio Brandi, allora presidente del Consorzio Mozzarella di Bufala, in cui per promuovere l’utilizzo della mozzarella di bufala sulla pizza decidemmo di organizzare una serie di eventi e manifestazioni. La più eclatante fu il primo Pizza Fest del 1997 al Maschio Angioino tenutosi dopo il convegno per la conclusione dei lavori del disciplinare in cui i pizzaioli preparavano le pizze con i primi forni mobili prefabbricati. Nacque il termine “pizza doc” coniato dalla stampa di settore. Precedentemente con i colleghi pizzaioli in qualità di Dirigenti dell’Associazione Vera Pizza Napoletana, alle infinite riunioni alla Camera di Commercio, avevamo avuto difficoltà a proporre la mozzarella di bufala sulla pizza. Le polemiche erano di natura economica, tecnica e culturale. Adesso il problema è totalmente inverso: nel corso di questi ultimi 20 anni il numero delle pizzerie è aumentato in maniera esponenziale ed è cresciuta la domanda di questo formaggio. Cosa fare per salvaguardare la pizza di qualità con la mozzarella di bufala?
Marco Contursi nel suo articolo “Truffa della mozzarella? Anche i truffati hanno le loro colpe gravissime” afferma che: “chi vuole mangiare una ottima mozzarella o una eccellente pizza, deve venire in Campania. Così facendo si mette in moto una economia locale fatta di alberghi, bar, negozi vari. Si fa crescere un territorio. Aprire una pizzeria a Milano o a New York, porta denari solo a chi la apre e ai suoi fornitori”. Non credo sinceramente che questa sia la soluzione. Quando un prodotto come la pizza napoletana ha un tale consenso globale per la sua bontà e caratteristica non è possibile richiuderlo nella sola realtà napoletana. Il problema della mozzarella di bufala è lo stesso per il Pomodoro San Marzano e l’olio extravergine d’oliva Dop .
Risposte non ne ho, purtroppo. Bisogna affidarsi al produttore onesto e alla sua professionalità che salvaguardia la sua attività con la qualità che è parte di se stesso.