di Enzo Coccia
Ieri dopo la presentazione del pomodoro Rofranoa Palazzo Mainenti, sede istituzionale dell’Ente Parco Nazionale del Cilento, tutti noi protagonisti di questa avventura ci siamo spostati nella pizzeria da Zero per assaggiare, o meglio degustare, alcune pizze da me preparate con questo ortaggio sconosciuto.
Finalmente dopo circa un anno ho tra le mie mani questo pomodoro che ho tagliato a pacchetelle con cura e dedizione e l’ho riposto in una ciotola di creta. Mentre lavoravo con calma, manipolando il disco di pasta per poi farcirlo e infine cuocerlo, affioravano nella mia mente mille pensieri.
Seminare, piantare, coltivare, maturare ed infine raccogliere: tutte queste operazioni manuali dell’uomo sono in simbiosi con la fertile Madre Terra. Ma oltre a queste azioni del lavoro di questi due ragazzi Giovanni Cavallo e Giovanni Speranza, convivono in loro anche diversi stati d’animo: amore, speranza, ansia per il raccolto.
Il raccolto del pomodoro Rofrano è un raccolto fatto di storia e di identità, di uomini e donne di questa terra: il Cilento. Il mio è un racconto che si legge negli occhi di questi ragazzi; lo so con certezza che la strada da percorrere per questo pomodoro Rofrano sarà molto difficile ma è una strada onesta, corretta e giusta fatta di strati e strati di asfalto, composta da delusioni, da fiducie, perseveranza, una vera e propria resilienza. Infondo tutti quelli che hanno festeggiato in pizzeria sanno che pochi quintali di pomodoro non possono cambiare il Pil del Sud o le sue sorti ma essi, me compreso, cercano un piccolo, piccolissimo aumento della percentuale del Fil (Felicità Interna Lorda) per la propria famiglia e la comunità in cui vivono.
Vi è una canzone di David Bowie che cita “li possiamo battere per un giorno, possiamo essere eroi per un giorno, o possiamo essere eroi per sempre. Che ne dici?”